Questo contributo vuole rappresentare il tentativo di riflettere sulle basi del metodo Pizzigoni dalla prospettiva di analisi della psicologia dell'apprendimento.
Nella proposta di Giuseppina Pizzigoni il bambino doveva essere il protagonista di un processo educativo che prendeva forma nel mondo, nel contatto diretto con la natura.
Tra gli elementi caratterizzanti di questo processo spicca il richiamo all'attivismo, all'autonomia del singolo, alla cooperazione e allo sviluppo del senso critico.
Già da questi brevi cenni appare chiaro come il titolo di questo contributo, "la dimensione (educativa) dell'apprendimento" si traduca in realtà in una molteplicità di dimensioni a partire dalle quali è possibile caratterizzare il processo di apprendimento.
Nella prospettiva psicologica, gli elementi del metodo Pizzigoni sinora citati chiamano in gioco almeno tre grandi temi: l'attività, la cooperazione e l'essere situato.
Il bambino che ha la possibilità di essere protagonista attivo e partecipe nel proprio processo di apprendimento è avvantaggiato da un maggior livello motivazionale, perché viene direttamente coinvolto e chiamato in causa nella costruzione del sapere.
La possibilità di prendere l'iniziativa e di avere uno spazio di azione autonomo permette al bambino di impostare l'apprendimento secondo i propri schemi mentali riuscendo così con maggior facilità a organizzare i contenuti e a collocarli in una rete di conoscenze pregresse. In fine, la possibilità di sperimentare permette al bambino di verificare la "bontà" degli insegnamenti, ovvero di provare in prima persona l'efficacia e l'utilità delle indicazioni dei libri e degli insegnanti.
Due brevi osservazioni circa i possibili rischi legati all'apprendimento attivo da più parti segnalati. In primo luogo la possibilità che gli studenti non si lascino coinvolgere da questa impostazione didattica e rivendichino la preferenza per un lavoro più centrato sull'iniziativa dell'insegnante e senz'altro meno faticoso. D'altra parte il rischio opposto, vale a dire che i bambini, troppo immersi nel fare e nello scoprire, non colgano il senso della loro attività, non riescano a generalizzare le esperienze per arrivare a conoscenze svincolate dal "qui e ora". In entrambi i casi la differenza può essere giocata dall'età dei bambini e dalle modalità di presentazione e gestione del lavoro da parte del docente.
Un secondo tema centrale è quello della cooperazione. Il lavoro cooperativo permette di sviluppare livelli diversi di competenza sociale: per poter lavorare insieme i bambini devono essere per esempio in grado di prestare ascolto, di rispettare le opinioni altrui, di condividere degli obiettivi e degli sforzi, di chiedere aiuto e di fornirlo. Attraverso il confronto e la collaborazione, i bambini beneficiano degli effetti dell'argomentazione, dell'interazione tra pari nella costruzione del sapere e del confronto con stili di pensiero diversi dal proprio (elemento quest'ultimo che permette di allargare il repertorio di strategie cognitive), inoltre sviluppano competenze per quanto riguarda il pensiero critico (inteso come capacità di valutare un contenuto indipendentemente da chi lo propone). Anche in questo caso, gli insegnanti dovranno dedicarsi con attenzione all'organizzazione del lavoro, poiché la capacità di cooperare (e non semplicemente di "lavorare in gruppo"!) si sviluppa con l'età e necessita di un'accurata valutazione al momento della costituzione dei gruppi (atteggiamento, stile di pensiero, stile di attribuzione, livello motivazionale, genere).
La valorizzazione del legame tra il bambino e il suo ambiente, anche inteso in senso lato come il mondo della natura, permette di impostare il processo di apprendimento muovendo dalle reali istanze del bambino e incidendo sul suo livello di motivazione e coinvolgimento. Si parte da un mondo di significati nei quali è più facile per il bambino orientarsi e cogliere una ricaduta concreta, a breve termine. Radicare le attività nel contesto di riferimento permette di colmare il divario tra tematiche scolastiche ed extra scolastiche sottolineando la continuità delle esperienze di apprendimento.
Nel metodo Pizzigoni la situazione di partenza del processo di apprendimento è rappresentata dal lavoro manuale inteso come mezzo di osservazione e ricerca che sfocia nel lavoro mentale. L'apprendimento si realizza quindi nell'esperienza individuale, nella quale entrano in gioco l'intuizione e le operazioni intellettive (la visione d'insieme e la riflessione). In breve, dalle prime impressioni sensoriali che ogni bambino ricava, per l'influenza decisiva dell'interesse personale, si arriva conoscenze.
Negli ultimi anni, le istanze della psicologia culturale hanno riportato in primo piano il tema dell'apprendistato, introducendo il concetto di apprendistato cognitivo.
Storicamente l'apprendistato pratico, l'esperienza attraverso la quale ci si affacciava al mondo del lavoro, prevedeva tre momenti fondamentali: l'osservazione, l'assistenza e la pratica. Questa serie di attività permetteva lo sviluppo di capacità di automonitoraggio, autocorrezione, nonché portava all'integrazione delle abilità con le conoscenze concettuali.
La trasposizione di questo iter in ambito cognitivo, riprende la figura dell'esperto guida e supervisore che porta il bambino a sviluppare abilità specifiche, nonché competenze cognitive e metacognitive. Il passaggio dal modellamento alla pratica assistita favorisce l'acquisizione di conoscenze fattuali e concettuali direttamente in relazione ai loro usi e in contesti diversi.
Infine, ma non per questo meno importante, l'abitudine di stimolare il bambino a porsi domande circa i "perché" delle cose, sollecitata dalla Pizzigoni, offre lo spunto per l'auspicio che alla stimolazione della curiosità rispetto alla realtà esperita, possa corrispondere lo sviluppo di una sensibilità verso l'indagine del proprio mondo interiore, una realtà di stati mentali, affettivi e cognitivi che una volta conosciuta garantisce un cammino più consapevole nella strada dell'apprendimento e della crescita personale.